Cultura
Il trenino azzurro, un trenino felice
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- Pubblicato Martedì, 19 Novembre 2013 20:21
- Scritto da Redazione
“Lo vedi, ecco Marino, la sagra c’è dell’uva, funtane che danno vino, quant’abbondanza c’è. Appresso viè Genzano cor pittoresco Arbano: s’annamo a mette lì, Nannì, Nannì.” Sembra di sentirli i cori delle allegre famiglie romane, nelle domeniche di ieri, a bordo di quel tram bianco e azzurro che portava ai Castelli. Il “trenino azzurro”, così veniva chiamato, era un mezzo di locomozione elettrico su rotaie, munito di due carrozze (un esemplare è conservato ancora dall’Atac); all’interno i sedili erano in legno. Alcuni lo chiamavano amichevolmente Polifemo per via di quel grosso faro, come un grande occhio, usato per illuminare le strade buie fuori città. Percorreva l’Appia e la Tuscolana, per poi lasciare la città. Il capolinea era alla stazione Termini. Il “tramvetto”, a ritmo lento e silenzioso, tagliava la campagna (oltre Cinecittà era tutto verde), passava tra le vigne, per poi giungere fischiettando (proprio come un treno) ai Castelli Romani (in un tempo di circa tre quarti d’ora). Il biglietto si comprava sul tram: non c’erano le macchinette per obliterare, ma se ne occupava il “fattorino”, una figura ormai in estinzione anche sui treni. Il prezzo del biglietto era frazionato, dipendeva dalla fermata in cui si saliva, nel dopoguerra costava circa 10 lire (gli stipendi medi erano circa 30.000 £).